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Intervento alla Conferenza e Tavola Rotonda: I DIRITTI UMANI NELLA SCUOLA

All’interno del percorso d’incontri e iniziative sul tema dei diritti umani promosso dal
Comune di Vicenza e dall’Assessorato alla famiglia e alla pace.
BREVE INTRODUZIONE
Inizio il nostro intervento con una osservazione che riprendo da un testo di etica.
Vi è qualcosa di paradossale, dice l’autore F. Fagiani, nel ritorno del linguaggio dei “diritti” e
nelle connesse rivendicazioni del diritto alla libertà, al benessere, all’eguaglianza, in società (come
la nostra) in cui questi beni sono diffusi in misura enormemente superiore a qualsiasi altra
società storicamente conosciuta (e, aggiungo io, geograficamente conosciuta). Il linguaggio dei
diritti, esprimerebbe allora un profondo malessere morale delle società occidentali e l’aspirazione
verso rapporti sociali definiti in modo più certo e sicuro e, aggiungo io, in modo anche più
conforme alla giustizia e all’equità.
Pensando al titolo di questa conferenza: “scuola e diritti umani”, e considerando chi sono i
protagonisti del mondo della scuola (gli alunni-studenti con le loro famiglie, gli insegnanti),
abbiamo più che mai la necessità di dare una definizione di “diritti umani” e di fare una
distinzione importante.
Per quanto riguarda il termine “diritto”, troviamo che esso è uno dei più inflazionati ed equivoci
della cultura filosofica e anche del senso comune, quindi non ci possiamo esimere dal tentare una
precisazione del suo significato. Scrive F. Fagiani nel suo contributo alla riflessione: “i diritti dei
quali ci occupiamo sono diritti morali e universali … e la cui titolarità si estende a tutti gli esseri
umani”.
Questa definizione, che qui assumiamo come ipotesi di partenza, ha due importanti conseguenze:
a. titolare dei diritti è un agente morale capace sia di esercitare il diritto, sia di esigerne il
rispetto, e questo restringe la titolarità dei diritti ai soli esseri umani integri e adulti;
b. il termine “diritto” si riferisce a una relazione intersoggettiva tra agenti morali, poiché al
diritto di un soggetto corrisponde sempre il dovere di un altro soggetto, dovere che in altre
parole viene chiamato “responsabilità”.
c.
Ed ecco che subito ci troviamo di fronte a un problema, infatti nel linguaggio ordinario e nella
pubblicistica corrente, l’uso del termine “diritto” non viene applicato solo agli esseri umani integri e
adulti, ma anche ai feti, agli embrioni, ai disabili mentali, agli infanti e ai minori, agli animali, alle
piante, all’ambiente ecc.
Per superare l’impasse, bisogna introdurre una importante distinzione: quella tra diritto e morale.
Infatti non è necessario attribuire a qualcuno o a qualcosa la titolarità di diritti per affermare che
esso deve ricevere adeguata considerazione morale.
La maggior parte delle questioni per cui vengono invocati i “diritti umani”, in realtà attengono al
campo della morale, ma poiché molti dei soggetti interessati non hanno la piena capacità di esigere
ciò che è loro moralmente dovuto, come ad esempio i minori che frequentano la scuola, per dare
voce e forza alle loro esigenze esse sono state chiamate diritti e in seguito introdotte nelle
legislazioni, in modo che diventassero diritti e doveri esigibili per legge.
Per questo, stasera io prenderò in considerazione quei diritti umani che, a partire dalle varie
“Dichiarazioni”, sono in seguito stati accolti nella nostra Costituzione, che è anche il fondamentale
testo normativo per la scuola pubblica italiana.
I DIRITTI NELLA COSTITUZIONE
I diritti fondamentali elencati nelle varie “Dichiarazioni” (Bill of rights inglese – 1689, Bill of
rights delle colonie americane – 1776, Déclaration des droits de l’homme et du cytoien – 1789,
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – 1948, Dichiarazione dei diritti del fanciullo –
1959, Carta Europea dei diritti del bambino, Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia), sono
entrati a far parte della nostra Costituzione e si trovano in molti dei suoi articoli. Considerando
anche la loro tradizionale distinzione in diritti civili, sociali e politici, la scuola è interessata
soprattutto ai diritti civili e sociali, citati dagli Artt. 2, 3, 10, 18, 19, 21, 28, 29, 30, 31, 33, 34.
Come insegnanti della scuola pubblica, noi abbiamo doppiamente il dovere di vigilare
sull’osservanza dei diritti delle persone a noi affidate, i bambini e i ragazzi, sia dal punto di vista
morale come adulti di fronte a persone minorenni, sia come pubblici ufficiali in virtù dell’Art. 28*
(* citare per esteso), avendo la Costituzione a tutela e garanzia dei diritti loro riconosciuti.
La scuola in particolare è un laboratorio di diritti umani e un osservatorio privilegiato
dell’intera questione. Nella scuola infatti si intrecciano molte persone e ruoli differenti, rapporti
asimmetrici, diversità di ogni genere: culturali, sociali, etniche, linguistiche e religiose, e la scuola,
specialmente la classe in cui è vissuta la quotidianità, è un luogo in cui i diritti possono essere
rispettati o violati, incoraggiati o disprezzati, insegnati o rinnegati con la parola e con l’esempio,
spesso all’insaputa del mondo esterno alla scuola.
Per illustrare con quali problematiche ci dobbiamo confrontare, abbiamo scelto tre esempi pratici di
vita scolastica, uno locale, uno nazionale e uno internazionale.
TRE CASI
Un caso locale: la mensa scolastica negata
Riporto alcuni stralci di una lettera inviata alla Provincia Pavese (giornale telematico locale) da un
gruppo di genitori, pubblicata il 10 ottobre 2012, che parla dell’episodio del Comune (alcuni
comuni) che hanno sospeso il pasto ai bambini di famiglie insolventi.
“Gentile Direttore, abbiamo letto in questi giorni le prese di posizione di alcune amministrazioni
comunali, anche nella nostra provincia, che hanno deciso di escludere dal servizio mensa i
bambini le cui famiglie non pagano il buono pasto.. sottolineiamo il fatto che mai e per nessuna
ragione debbano essere i bambini a pagare le conseguenze di una questione economica… non è
un dovere dello stato tutelare i diritti dei bambini di famiglie indigenti? Per tanti bambini
appartenenti a famiglie in grave difficoltà economica il pasto della mensa scolastica rappresenta
l’unico pasto importante della giornata. Glielo neghiamo? In nome di che cosa? … Ci
chiediamo: perché nel nostro Paese chi ha il dovere di tutelare i diritti dei cittadini, può
permettersi di agire in modo così superficiale e discriminatorio, andando addirittura a violare i
diritti stessi? Leggendo le varie cronache di questi giorni si scopre anche che in queste scuole le
insegnanti sono obbligate, dall’amministrazione stessa, non solo a non dar da mangiare ai
bambini che non pagano, ma anche a portare i bambini esclusi dalla mensa in un ambiente
diverso, rafforzando così ulteriormente il senso di discriminazione vissuto sulla propria pelle da
questi bambini. Dove stiamo rotolando? Siamo illusi sognatori se desideriamo e pretendiamo
una società basata sulla solidarietà e la reciprocità, che tuteli i diritti di tutti, soprattutto dei più
fragili? Dov’è la società civile e solidale, di cui lo Stato dovrebbe essere garante?”
I Comuni che hanno sospeso la fornitura del pasto, è vero che hanno agito solo dopo molto
tempo che le famiglie non pagavano la retta, tuttavia lo hanno fatto a mio avviso in modo
unilaterale e indiscriminato.
Invece in questo caso era necessario considerare, insieme alle regole (chi non paga non
mangia), anche il contesto e i soggetti interessati, con una valutazione congiunta del peso dei
diversi fattori, era cioè necessario esercitare un sapere prudenziale, che le istituzioni in genere
non sono in grado di mettere in atto e di acquisire come buone pratiche.
Se richiamiamo gli articoli 30* e 31* della Costituzione, vediamo che essi dispongono i
provvedimenti da assumere nei casi come quello appena letto.
Se è vero che il dovere principale di allevare i figli è dei genitori, lo Stato è tuttavia chiamato a
supportare tale responsabilità. Perciò, occorreva valutare la specifica condizione famigliare, il
contesto scolastico, i soggetti interessati (bambini), la disponibilità alla solidarietà delle
associazioni, ma in nessun caso i bambini dovevano restare privi del pasto, che è uno dei
loro bisogni primari, quindi un loro diritto.
In tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando, in cui di fronte a vergognose ostentazioni
di sfarzo e sprechi di denaro pubblico, ci sono persone che rischiano di restare prive del cibo
quotidiano, non sono accettabili situazioni come queste.
Qui da noi sono in uso le mense scolastiche, ma è necessario prevedere anche soluzioni diverse e
ugualmente dignitose. Personalmente penso che un panino, portato da casa o offerto da altri, sia
una soluzione dignitosa… come si fa in molti paesi europei, gli alunni consumano normalmente
a mezzogiorno il pasto del cestino preparato a casa.
Ma la miopia e l’insensibilità delle istituzioni qui è andata oltre, perché risulta che i bambini che
mangiavano il loro panino sono stati portati in un locale diverso da quello in cui si trovavano i
compagni, e ciò significa stigmatizzare una situazione di discriminazione in modo simbolico e
farla diventare un segno indelebile nella loro coscienza.
E qui bisogna anche aggiungere che questo episodio la dice lunga sulla sensibilità e sulla
vigilanza che il corpo docente ha riguardo i diritti umani: nella lettera sopra citata si dice che le
maestre sono state “obbligate dall’amministrazione”… ma stiamo scherzando? Nessun
insegnante è tenuto a ubbidire a comandi che prevedono la violazione di una legge o di un
diritto umano, e se lo fa si rende complice.
Un caso nazionale: l’IRC nella scuola pubblica
Leggo alcuni brani dalla Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazione sociali… (Art. 2). Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana… (Art. 3). Tutti
hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa… (Art. 19). L’arte e la scienza
sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e
istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i gradi… (Art. 33). La scuola è aperta a tutti… (Art.
34)”
Una prima cosa da notare, è che lo Stato esorbita dal suo ambito nei confronti dell’istituto della
famiglia, in quanto non si è limitato a dettare le norme generali dell’istruzione, ma è andato
molto oltre, prescrivendo obbiettivi e contenuti di carattere religioso che rientrano invece
nell’ambito delle scelte educative della famiglia, e rafforzando inoltre la pessima abitudine di
molti genitori italiani di delegare l’educazione dei figli ad altre agenzie.
E questo perché nella Costituzione italiana c’è un Articolo 7, che configura le relazioni tra Stato
e Chiesa cattolica come quelle tra due stati indipendenti e sovrani, e quindi regolati da accordi o
patti, ciò ha dato luogo al Concordato (rivisto il 18 febbraio 1984 e ratificato con la Legge 25
marzo 1985, n. 121), che stabilisce impegni bilaterali di collaborazione, tra i quali anche il
privilegio concesso alla religione maggioritaria di entrare nella scuola statale.
L’ora di religione cattolica nella scuola pubblica comporta tutta una serie di conseguenze di cui
si fanno carico tutti i cittadini, anche i non cattolici: le ore di IRC sono inserite nel normale
curricolo e orario scolastico, la qual cosa (come sanno bene gli insegnanti) crea un pesante
vincolo nella distribuzione settimanale delle materie.
I testi di religione sono gratuiti, a carico dello Stato, ossia di tutti i contribuenti; nello stesso
modo sono retribuiti gli insegnanti di religione (26.326 nel 2010) e i loro supplenti, per i quali la
Legge 86 del 2003 ha previsto l’immissione in ruolo e, in caso di perdita dell’idoneità conferita
dal Vescovo, la possibilità di passare ad altri insegnamenti nella scuola statale, senza aver
sostenuto un regolare concorso pubblico.
La Legge 121/1985 (Concordato) e il Testo Unico (DL 297 del 16/4/1994- Disposizioni
legislative su materie d’istruzione) stabiliscono che lo Stato è tenuto ad organizzare l’Irc per chi
lo richieda e che la scelta di non avvalersene non deve creare condizionamenti di sorta; ma
questo è impossibile, infatti non può essere rispettato lo stato di non-obbligo dell’alunno non
avvalentesi, così come richiede la sentenza della Corte Costituzionale n. 203/89. Infatti l’alunno
esonerato è in pratica obbligato a scegliere fra possibilità tutte condizionanti e discriminanti.
Per esempio, un alunno di scuola primaria può scegliere di uscire da scuola (caso non sempre
favorito dalla collocazione delle ore di religione all’interno delle altre materie), in questo caso
perde due ore di scuola alla settimana, il che significa in un anno circa 64 ore in meno di
attività didattica (stiamo parlando di diritto allo studio) rispetto ai compagni che non sono
esonerati.
Può scegliere lo studio individuale, e ciò significa essere portato in un altro luogo o, cosa molto
frequente, un insegnante se lo tira dietro mentre fa le fotocopie o prende il caffè, spesso significa
essere parcheggiato in altre classi, nel migliore dei casi significa sorbire due ore di compiti ed
esercizi da solo con la maestra.
La terza possibilità sono le due ore di attività alternative, una ridicola materia fantasma, senza
alcuna giustificazione pedagogica, inventata ad hoc per intrattenere quegli alunni che
malauguratamente scelgono di non avvalersi dell’Irc.
Le leggi di applicazione delle intese fra Stato e Minoranze religiose, stabiliscono che
“l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti
alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione
dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiamo per i detti alunni effetti
comunque discriminanti”( Legge n. 449 dell’11/08/1984).
E a questo proposito vorrei riportare come esempio paradigmatico alcuni stralci di due lettere
circolari, una del Ministro in carica a quel tempo e l’altra di un Direttore Generale della
sovrintendenza scolastica, in occasione del decesso del Papa Giovanni Paolo II: “Agli
insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Cari insegnanti, la grande emozione vissuta in
tutto il mondo per la scomparsa di Giovanni Paolo II induce alla riflessione sulla portata storica
di questo Papa, che nel suo lungo pontificato è diventato un punto di riferimento per tutti gli
uomini e per tutte le donne, al di là di ogni fede e di ogni cultura… Penso sia importante
pertanto, oltre ad osservare durante le lezioni il minuto di silenzio indetto per venerdì 8 aprile
alle 12 in occasione dei funerali, promuovere in classe momenti di riflessione su questo grande
uomo e sul suo messaggio, condividendo con i vostri alunni la sua eredità morale e spirituale.
Letizia Moratti”; “Ai Dirigenti Scolastici delle Scuole di ogni ordine e grado Regione Emilia
Romagna. Le scuole sono invitate a parlare di Giovanni Paolo II… Il decesso del Santo Padre,
figura di così grande e universale carisma, è un fatto che tocca la comunità ecclesiale e civile,
oltre ogni distinzione etnica, culturale e religiosa… Per tutte queste ragioni si invitano tutte le
scuole di ogni ordine e grado della regione… a dare ampio spazio nei prossimi giorni alla
riflessione sulla straordinaria figura di Giovanni Paolo II… Appare inoltre opportuno che le
scuole diano comunicazione agli studenti delle iniziative religiose di commemorazione che si
terranno nelle varie diocesi della regione. (Lucrezia Stellacci, Direttore Generale)”.
In quella occasione, secondo le testimonianze di alunni, genitori e insegnanti, si sono svolti
momenti di preghiera nelle classi o trasferimenti in massa di tutta la scuola nella vicina chiesa
cattolica per assistere alla messa. Ed erano presenti bambini, ragazzi e operatori scolastici non
cattolici… come si può tollerare una simile violazione della libertà di coscienza, e di una
coscienza più debole com’è quella dei bambini?
Attenzione però, noi insegnanti evangelici non pensiamo che la religione non deve entrare nella
scuola pubblica, perché ciò sarebbe impossibile, infatti dove ci sono delle persone lì ci sono
delle esperienze culturali e religiose, quindi la religione può e deve essere presente nella scuola,
ma unicamente come vissuto personale e come esperienza di coloro che la frequentano.
Diversamente, l’istituzione, cioè lo Stato e la scuola che lo rappresenta, deve astenersi
dall’insegnamento e dall’indottrinamento di qualsiasi religione e dal concedere spazi
privilegiati a qualunque confessione, pur anche maggioritaria, perché maggioranza non
equivale a diritto, piuttosto alla forza del numero, che può diventare sopraffazione.
La scuola deve essere laica, per poter essere “la casa di tutti” i bambini e le bambine, i ragazzi e
le ragazze.
Un caso internazionale: il problema dell’origine del mondo nei programmi scolastici
Questo caso è un classico esempio di come i diritti umani possono venire “tirati per la
giacchetta” da una parte e dall’altra, e invocati per sostenere posizioni anche contrapposte.
I fatti risalgono a qualche anno fa. Il primo: nel Decreto Legislativo 59/’04, corredato dalle
Indicazioni Nazionali per il curricolo delle scuole primarie e secondarie di primo grado, la
ministra Moratti cancella il darwinismo dai contenuti di insegnamento e apprendimento,
fatto che suscita una accesa polemica.
Qualche anno dopo, esattamente il 4 ottobre 2007, con l’approvazione del documento “I pericoli
del creazionismo nell’ambito dell’educazione”, il Consiglio d’Europa attacca le posizioni
creazioniste, tra cui quella del “disegno intelligente”, e promuove l’evoluzionismo a dogma
indiscutibile e fondamentale della Comunità europea.
Ecco che, con un colpo di spugna, organi istituzionali cancellano “d’ufficio” la libertà di
pensiero e di insegnamento. E la cosa paradossale è che ciò viene fatto proprio in nome dei
diritti umani! Ci tocca ricordare a chi dovrebbe esserne garante, che la libertà di pensiero e di
espressione è una libertà fondamentale riconosciuta dalla Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo e sancita dallo stesso Consiglio d’Europa con la Convenzione europea per la
salvaguarda dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e che infine rappresentano un
principio cardine della nostra Costituzione (Artt. 21 e 33)…
Noi crediamo che se una teoria non minaccia la legge e l’ordine pubblico, gli scienziati, gli
studenti e tutti gli interessati dovrebbero essere liberi di esaminarla e di arrivare alle loro
conclusioni, e non c’è alcuna evidenza che il creazionismo o l’evoluzionismo siano un pericolo
per la società, e in un regime democratico la libertà dei cittadini è tutelata dagli abusi di chi vuole
imporre dogmi secolari o religiosi.
Entrambi questi esempi rappresentano veri e propri attentati al diritto umano della libertà.
Alla libertà di insegnamento, perché chi insegna ha tutto il diritto di esercitare la sua
professione esprimendo le proprie convinzioni, suffragate dalla ricerca nei vari campi della
conoscenza, presentate insieme e sullo stesso piano delle convinzioni altrui e didatticamente
“tarate” sul tipo di scolaro o di studente a cui la lezione è rivolta.
Ma è anche alla libertà di apprendimento, perché chi va a scuola ha tutto il diritto di essere
portato a conoscere le svariate teorie, posizioni e conclusioni cui la scienza è arrivata nei vari
campi in cui si è applicata.
E questo metodo che noi promuoviamo non coincide con un’improbabile “neutralità”, ma con
l’onestà e l’umiltà di collocare le proprie convinzioni accanto a quelle altrui e di confrontarle
a partire da uno stesso piano di valore e di importanza.
CONCLUSIONE
Avviandoci alla conclusione del nostro intervento, viene da chiedersi in quale cultura e in quale
società i diritti umani hanno maggiori possibilità di svilupparsi.
Noi crediamo che i casi qui menzionati ci portino a fare delle considerazioni.
Per quel che ci riguarda, crediamo che vada sottolineata l’esigenza di un vero e concreto
pluralismo istituzionale, che rappresenti il pluralismo presente nella società, sul modello di
quello prefigurato dalla teoria chiamata “sovranità di sfere” o “responsabilità differenziate”, dove
con “responsabilità” non si intende un generico senso del dovere, ma una precisa responsabilità,
che offre una sicura tracciabilità personale e sociale (come per i prodotti certificati).
Per illustrare questo concetto mi sia consentito citare una giovane insegnante (della nostra
associazione) Anna Gentile, che si è laureata con una tesi sul politico evangelico olandese
Abraham Kuyper, in cui si definisce il pluralismo istituzionale in questo modo: “una vita sociale
caratterizzata da una pluralità di istituzioni che la animano, senza che nessuna di esse
prevarichi sulle altre… (perché) tutti hanno diritto al confronto all’interno di uno spazio
pubblico plurale, senza discriminazioni né privilegio alcuno… (in questo modello sociale)
l’autorità e le responsabilità sono diffuse in molteplici centri di responsabilità, tutti sottomessi
alla sovranità di Dio… verso di Lui esse hanno la responsabilità ultima. Tale è il fondamento
per comprendere e definire i limiti delle autorità istituzionali ed associative” (pag 65 tesi di
Anna).
Per “istituzioni” in tale concezione si intendono l’individuo, la famiglia, le imprese, le
associazioni, le chiese, e anche lo Stato come una istituzione fra le altre, ciascuna delle quali è
portatrice di autorità e di responsabilità specifiche al proprio ruolo, detto nei termini del nostro
tema, è portatrice di diritti e di doveri.
Per quanto riguarda i diritti umani, crediamo che l’istituzione principale in cui tali diritti si
possono e si devono imparare e insegnare in pratica sia proprio la famiglia. Perché è nella
famiglia che si rendono ( o non si rendono) concreti il rispetto di sé e dell’altro, la libertà e
l’autorità, la responsabilità, la diversità di ruoli e la solidarietà.
La scuola e le altre agenzie educative non possono che essere seconde in questo campo,
collaborando, rinforzando, arricchendo, a volte correggendo quello che si è già fatto in famiglia.
Oltre al pluralismo istituzionale, qui entra in causa anche il concetto della laicità, quella laicità
che è stata riconosciuta come principio fondamentale della nostra Costituzione, ma che fatica
non poco a essere compresa e vissuta, e a diventare parte delle buone pratiche culturali e
istituzionali nel nostro Paese.
Laicità non la intendiamo come un principio assoluto di neutralità e di indifferenza nei confronti
delle convinzioni religiose, di coscienza, ecc., ma come principio procedurale, cioè
considerando la laicità come un mezzo (e non come un fine), con particolare attenzione posta alle
regole e alle procedure, affinché siano rispettate e uguali per tutti. E il fine che la laicità
dovrebbe raggiungere è per l’appunto la tutela e la promozione dei diritti umani e dei doveri
correlati.
Una breve considerazione finale sulla fondazione dei “diritti”. A differenza di quanti vorrebbero
far discendere i diritti umani dalle varie rivoluzioni in epoca moderna e dalle loro
“dichiarazioni”, noi ravvisiamo un altro fondamento, che poggia su due colonne portanti, che ci
vengono offerte dalla Sacra Scrittura e sono esemplificate nella vita di Gesù Cristo: la prima
colonna è la concezione secondo cui ogni uomo ha un valore in virtù della sua creazione a
immagine e somiglianza divina e, su questa base, possiamo affermare l’uguaglianza e la dignità
di tutti gli uomini davanti a Dio e di conseguenza davanti al mondo intero. La seconda colonna è
la limitazione dell’autorità umana, di ogni autorità, sia civile sia ecclesiastica, di fronte alla
somma Autorità di Dio, e questa limitazione è anche una delle condizioni della sua legittimità.
Ne discende pertanto che ogni persona è sì soggetta all’autorità, ma a un’autorità non assoluta, e
in ogni caso ogni persona ha una propria sfera di autonomia e di responsabilità in quanto
risponde principalmente al suo Creatore, e in seconda istanza alle altre autorità umane.
Questa concezione che ho molto brevemente esposto è parte del patrimonio culturale che il
protestantesimo porta in dote come contributo al dibattito sulla natura dei diritti umani.


Bibliografia

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C.I.E.I., Un appello, in E. Labanchi, Chiarimenti, quaderno n. 7, RdiG Edizioni, Grosseto, 2008
A.M. Gentile, Una teologia politica antirivoluzionaria: Abraham Kuyper, una voce del
calvinismo olandese tra ottocento e novecento, tesi di laurea alla Università di Modena e Reggio
Emilia, Facoltà di Scienze della Formazione, a.a. 2009-2010
L. De Chirico, Sovranità di sfere, in A.A.VV., Dizionario di teologia evangelica, EUN,
Marchirolo (VA), 2007, pp. 683, 684

Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani – 6 dicembre 2012