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La Bibbia libro di testo scolastico?

Pare proprio che gli amici di BIBLIA (Associazione laica di cultura biblica) riescano a realizzare un
sogno da tempo accarezzato, quello di introdurre lo studio della Bibbia nella scuola. Nel mese di
giugno infatti l’Associazione ha presentato al Ministro Fioroni un appello accompagnato da oltre
diecimila firme di cattolici, protestanti, ebrei, credenti e non credenti, affinché la Bibbia sia inserita
nella scuola come testo scolastico. Alla notizia è stato dato rilievo dalla stampa nazionale, la quale
riporta l’opinione favorevole di molti intellettuali e parlamentari.
È risaputo che la scuola si dibatte in gravi difficoltà, da quelle economiche e politiche a quelle
morali ed etiche; ecco, di fronte alla crisi della cultura, al disagio dei giovani per il loro futuro, alla
confusione degli insegnanti sul loro ruolo ecc., sembra che la presenza della Bibbia potrebbe fornire
un ancoraggio forte a valori consolidati della tradizione europea e un punto di incontro tra diverse
visioni del mondo, culture, religioni. Una stella polare, insomma, per questa povera imbarcazione
scolastica disorientata e sbattuta qua e là tra riforme incompiute e tagli alla spesa, precariato e
diritti, dispersione scolastica e qualità dell’offerta formativa. Finalmente, dicono anche certi
protestanti, possiamo offrire ai giovani una parola di speranza, un orientamento di vita, quei valori
di rispetto, tolleranza e convivenza sociale che non si trovano più nella famiglia e nella società. E
tutti, credenti e non credenti, concordano sul fatto che non è lecito indottrinare gli alunni e gli
studenti, usando la Bibbia per fare proselitismo, perché ciò è proibito dal rispetto della libertà di
coscienza, dal carattere laico della scuola statale, nonché dalle Leggi vigenti. La Bibbia dovrà
essere quindi insegnata come testo culturale, al pari dell’Eneide e dei Promessi Sposi.
Di fronte a questa proposta, noi insegnanti del Ciei ci sentiamo chiamati in causa, sia come cristiani
biblici sia come insegnanti nella scuola statale, sia come cittadini. Ci sia consentito quindi di
esprimere anche la nostra valutazione sull’introduzione della Bibbia nella scuola come libro di
testo. Prima di tutto non è vero, come lascia intendere la stampa, che tutti i protestanti sono
d’accordo. In un Convegno tenuto a Bellizzi nel 2/9/2001 (moderatore Rinaldi) si confrontarono due
posizioni diverse, una favorevole, l’altra contraria. Anche oggi, per onestà e trasparenza, bisogna
tenere presente che ci sono opinioni discordanti.
I promotori affermano che la motivazione della proposta è la seguente: “per valorizzare, al di là
delle ipoteche confessionali, il grande codice dell’umanità”, e questo è un punto fondamentale, su
cui si appoggiano tutte le altre argomentazioni. Noi non crediamo affatto che il “codice
dell’umanità” si possa valorizzare “al di là delle ipoteche confessionali”. Le confessioni non sono
ipoteche, sono visioni della vita, a volte anche esplicite e formali, ma sempre implicite e informali,
di cui tutti siamo portatori, come soggetti che interpretano il mondo. Solo avendo coscienza di
questo possiamo confrontare le nostre con le visioni altrui. La Bibbia, ad esempio, propone una
visione del mondo confessante la signoria di Dio, del Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento, e la
persona di Gesù come Messia atteso e giunto nel mondo per salvare quelli che credono nel suo
nome. Questa è una visione confessante e militante della verità che la Bibbia dichiara di essere. La
prima regola della scientificità è quella del rispetto dell’oggetto, in questo caso l’autopresentazione
del testo stesso che si presenta come Parola del Dio vivente. Certamente la Bibbia è anche un testo
culturale, che dialoga con e interpella le culture, ma prima di tutto è il testo sacro del cristianesimo,
e questa caratteristica la rende “chiusa” ad ogni abuso che non rispetti il suo originario significato e
scopo. È illusorio credere di poter valorizzare la Bibbia al di là di questa “confessione”, perché
significa in realtà rinnegare e manipolare la Bibbia, cosa che noi rifiutiamo decisamente. A questo
riguardo siamo davvero stupiti di leggere tra i firmatari della proposta il nome di Massimo Cacciari,
il quale in passato aveva espresso un’opinione simile alla nostra, in un’intervista pubblicata sulla
rivista QOL. Egli aveva allora affermato che “una lettura semplicemente culturale della Bibbia non
insegna la Bibbia, non la fa cogliere, ne tradisce la specificità” (S.Morandini, “Intervista a Massimo
Cacciari”, QOL, supplemento al n.32, 33, settembre 1991). Il tempo da solo non cambia le opinioni,
ci piacerebbe molto sapere qual è stata l’evoluzione del pensiero dello stimato filosofo, per arrivare
a sostenere oggi l’opinione esattamente contraria.
Passiamo al caso della parlamentare Paola Binetti, secondo la quale lo studio della Bibbia, offre un
approfondimento sulle “radici cristiane dell’Europa” e sui “valori della legge naturale espressa dai
dieci comandamenti”. È molto discutibile e non condivisibile che l’Europa abbia radici cristiane,
semmai ha radici pagane, su cui nel tempo si sono innestate tradizioni ebraiche, cristiane e
mussulmane, una Riforma e una Controriforma, accompagnate da guerre e da dissidi non ancora
superati, a cui più di recente si sono aggiunte la secolarizzazione, correnti laiciste, teiste, panteiste,
new age, ecc. Oggi l’Europa è più che mai un coacervo di religioni e di culture differenti, ognuna
delle quali si richiama a differenti radici. Affermare poi che la legge naturale sia quella dei “dieci
comandamenti” (e perché non quella dell’ “homo homini lupus”…?), quando i dieci comandamenti
sono unanimemente considerati la Legge di Dio (la Torah), non ha alcun fondamento, a meno che
non si voglia identificare Dio con la natura (cosa per niente cristiana). Per quanto riguarda poi la
ragione in più della Binetti, che “è offerta dal confronto con le altre religioni”, ci chiediamo: questi
paladini del confronto, rappresentanti di una religione maggioritaria che, in contrasto con la laicità
delle istituzioni, continua ad occupare uno spazio privilegiato di insegnamento nella scuola pubblica
statale, dove trovano il coraggio di proporsi, da una tale posizione di potere rispetto alle altre
confessioni religiose, come promotori del dialogo interreligioso, del rispetto e della tolleranza?!
C’è anche chi (Dorina Bianchi, vicepresidente della commissione affari sociali della Camera)
afferma che la Bibbia “rappresenta la storia e la cultura di tutte le religioni”, al cui proposito
sarebbe interessante chiedere ai capi di tutte le religioni se si sentono rappresentati dalla Bibbia…
oppure se questa è la rappresentazione autoreferenziale della religione e della cultura dominante. È
buffo poi che si senta il bisogno di ribadire, come ha fatto la deputata Isabella Bertolini, che
introdurre la Bibbia a scuola “non ha un significato religioso”… Non avremmo mai pensato a questa
possibilità!
In sintesi, ci sembra di capire che la proposta di introdurre la Bibbia nella scuola come libro di testo
implichi una certa delegittimazione della famiglia nell’educazione dei figli, infatti si sente il
bisogno di scomodare la scuola, questa povera bistrattata e vilipesa istituzione, che in questo
momento però è chiamata a diventare artefice della rinascita morale delle nuove generazioni.
L’insegnamento scolastico della Bibbia non riconosce nemmeno l’importanza del ruolo delle chiese
e confessioni cristiane, perché non sarebbero sufficienti a istruire adeguatamente i loro adepti nella
conoscenza dei testi sacri. Non riconosce alla Repubblica Italiana il suo carattere laico, incardinato
negli articoli che tutelano la libertà di coscienza e di opinione di credenti e di non credenti. Coloro
che promuovono questa iniziativa si sentono però in grado di decidere per tutti gli italiani cosa sia
religioso e cosa no, e come vadano interpretate le Sacre Scritture.
Grazie, ma noi insegnanti del Ciei, cristiani evangelici e cittadini italiani, decliniamo l’offerta.
Preferiamo affidare principalmente ai genitori il compito di dire ai figli cos’è bene e male, giusto e
sbagliato, vero e falso, di educare al rispetto, alla tolleranza e alla pacifica convivenza. Rispettiamo
le varie confessioni religiose nell’interpretazione dei loro testi sacri e nell’insegnamento della
dottrina che è loro peculiare. Auspichiamo che lo Stato sappia guardarsi dalla tentazione di abusare
del sentimento religioso per difendere posizioni xenofobe ed etnocentriche, onoriamo la pubblica
istruzione e riconosciamo alla scuola il compito suo proprio, che è quello di contribuire alla
formazione dei giovani tramite l’istruzione e l’alfabetizzazione culturale, sociale e professionale,
nel rispetto autentico e fattivo di ogni persona, cultura e religione.

Il Comitato Insegnanti Evangelici Italiani –