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Di dislessia non si muore

Autore: ADELE BALDI 

Anno di pubblicazione: 2013

Editore: ed. Uomini Nuovi srl, Marchirolo (VA)

N. Pagine: 176

La dislessia: il terrore di tutti i genitori di bambini in età scolare e il ritornello che gli insegnanti sentono ripetere con ossessiva frequenza nei corsi di aggiornamento degli ultimi anni.

In passato, il problema semplicemente non esisteva. C’erano scolari bravi e scolari “somari”. Quelli bravi proseguivano gli studi, gli altri erano spediti dopo la quinta a lavorare o alle scuole di avviamento professionale. Poi i progressi della ricerca in psicologia dell’apprendimento, gli sviluppi delle nuove tecnologie, una rinnovata concezione della didattica, l’estensione dell’obbligo scolastico e la filosofia dell’inclusione hanno fatto sì che la scuola si adeguasse al cambiamento sociale e acquistasse consapevolezza del suo ruolo nella “formazione dell’uomo e del cittadino”. Oggi è ormai acquisito che i bambini, pur non essendo tutti uguali, hanno tutti gli stessi diritti e la scuola ha il compito di metterli in grado di raggiungere anche i gradi più alti dell’istruzione, e soprattutto questo vale per coloro che hanno quelle difficoltà, tra cui la dislessia, che possono essere superate con opportuni e mirati interventi didattici.

Come spesso accade, però, si è andati da un estremo all’altro. Oggi infatti alla scuola si chiede praticamente di risolvere i problemi del mondo: l’accoglienza degli stranieri, l’integrazione dei disabili, il supporto ai ragazzi con difficoltà specifiche di apprendimento, il trattamento dei bisogni educativi speciali, oltre ad accogliere le istanze del territorio, supportare le famiglie, promuovere iniziative culturali… infine forse qualcuno si ricorda che la scuola deve anche insegnare a leggere, scrivere e fare di conto. Tutto ciò a fronte di un taglio degli investimenti per l’istruzione di miliardi di euro (non compensato dal pur lodevole aumento di 400 milioni di euro deciso dall’attuale Ministro) e insieme all’aumento del numero di alunni per classe. Dulcis in fundo: la scuola è valutata da un ente esterno, il famigerato INVALSI, che sottopone gli alunni a certi test difficili e complessi, che richiedono sofisticate abilità cognitive e prestazioni che non rispecchiano per nulla il quotidiano lavoro di classe. Non sembra che ci sia una contraddizione? I ragazzi DSA (con difficoltà di apprendimento specifiche, come i dislessici) necessitano di una programmazione personalizzata, mentre quelli con bisogni educativi speciali (stranieri, adottati, figli di separati, con disagio socio economico, svantaggio culturale ecc.) devono essere seguiti con particolare attenzione, cosa farà l’insegnante? Fino a quando non avrà il dono dell’ubiquità, dove lascerà gli altri alunni della classe? Senza le ore di contemporaneità, tagliate sprezzantemente perché ritenute superflue, come tratterà i bisogni speciali che ogni bambino ha e come rispetterà il diritto di ognuno, anche del bambino “comune”, del bambino e basta, che oggi sembra diventato una specie in estinzione?

Ecco, tutto questo sale alla mente di un insegnante che vede la copertina di questo libro. Ma non appena comincia a leggerlo gli si apre il cuore, perché questo non è l’ennesimo scritto accusatorio sui doveri della scuola e sulle inadempienze degli insegnanti (che rimangono purtroppo tante), ma è un sereno, realistico, positivo incontro con un problema personale e famigliare, quello della dislessia di un ragazzo, Gabriele, il figlio dell’Autrice, riconosciuta in un momento che oggi diremmo tardivo (la storia si riferisce ad alcuni anni fa, quando ancora non c’era lo screening per la dislessia in prima e seconda elementare), dislessia vissuta con la consapevolezza che ogni difficoltà può diventare una meravigliosa opportunità di crescita, per il ragazzo e per tutti coloro che gli vogliono bene. Perché questo è il segreto: la dislessia non è un male oscuro, è una caratteristica particolare che riguarda la persona e la famiglia in cui questa persona vive, oltre che la scuola che frequenta. Questo è il filo conduttore della vicenda: il ragazzo ha intorno a sé, vicino a sé, dietro di sé mamma e papà, fratello e zii, nonni e infine anche insegnanti. Tutti questi soggetti sono insieme a lui, saranno quelli che affronteranno con lui la dislessia e la vinceranno. E alla base di una famiglia unita, che sa rapportarsi alla scuola con rispetto ma non con sudditanza, c’è una solida concezione del matrimonio come unione indissolubile di un uomo e di una donna, secondo la fede biblica. Questa unione, che alla fine è unione con Dio e con Gesù vivente, costituiscono la forza profonda che anima e ravviva ogni rapporto, ogni vicissitudine triste o divertente, ogni sfida facile e difficile che Gabriele si trova ad affrontare e a superare. Riflettendo però in generale sul problema della dislessia, qualche volta viene anche il dubbio se tutta questa ansia di prestazione che il sistema ti butta addosso sia poi così sana, o se invece non sia essa stessa una patologia sociale e culturale. Si scrivono e si studiano libri, si riempiono le sale dei convegni, si pubblicano articoli su riviste specializzate parlando di intelligenze multiple, di pensiero divergente, di libertà di apprendimento… ma la nostra scuola non è ancora in grado di discernere quali siano i saperi veramente essenziali e non ha idea di come formare le abilità e le competenze che aiutino i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro. Ancora viene privilegiato il nozionismo e il sapere astratto a danno del sapere pratico delle intelligenze operative. Il lavoro “in camice bianco” è il più ambito ed erroneamente ogni genitore pensa che per suo figlio o figlia è molto meglio del lavoro manuale, a dispetto delle sue effettive inclinazioni. Non sarà che la cultura scolastica in Italia è ancora troppo segnata dall’intellettualismo e dal nozionismo, una tara che viene da molto lontano (pare addirittura da Aristotele) e che nessuno fino ad ora è riuscito a sanare? Non sarà che ci vorrebbe una profonda riforma della scuola, della famiglia e della società, che abbia di mira una rifondazione morale di queste importanti istituzioni?

Tutto questo il libro di Adele Baldi non lo tratta apertamente, ma lo lascia intravedere, come dire, tra le righe. Un messaggio che ogni lettore attento potrà cogliere e di cui farà tesoro.